Ricollegandomi a quanto già raccontato
nella pagina dedicata alla letteratura, parliamo ora del cortometraggio –
documentario “Sette Canne Un Vestito”
Una breve premessa
Un ruolo importante nella storia della
produzione italiana di tessuti artificiali fu svolto dalla SNIA. Nata nel 1917
a Torino su iniziativa dell’imprenditore e finanziere biellese Riccardo
Gualino, la SNIA (Società di Navigazione Italo Americana) era all’inizio una
società per il trasporto marittimo del carbone degli Stati Uniti in Italia. Con
la fine della guerra, in seguito al crollo dei noli marittimi, la società
decise di diversificare l’attività, interessandosi alla produzione di fibre
artificiali. Acquistando e assorbendo diverse aziende chimiche, la SNIA, che
sarebbe poi diventata Società Navigazione Industriale Applicazione
Viscosa (SNIA Viscosa) divenne una delle più importanti aziende del paese
nella produzione di ciò che allora si chiamava seta artificiale e che, quando
nel 1924 si proibì per legge l’uso del nome seta per i prodotti non derivanti
dal baco da seta, prese il nome di rayon.
Anche la SNIA sembrò a un certo punto
affrontare una crisi fatale, quando Gualino, che si era avventurato in
speculazioni finanziarie in prossimità della grande crisi del 1929, entrò in
urto con il governo fascista. Intervenne allora un azionista dell’azienda,
l’imprenditore milanese Senatore Borletti, che assunse temporaneamente la
presidenza (1930) per poi affidare il timone nel 1934 a Franco Marinotti, che aveva
fatto esperienza nel settore tessile con il commercio in Unione Sovietica e nel
Vicino Oriente. Marinotti risollevò l’azienda, anche grazie ai buoni rapporti
con il fascismo (fu vice podestà a Milano), e la resse, tranne che nel periodo
1943–47, promuovendone lo sviluppo, quasi fino alla morte, avvenuta nel
1966.
La politica di autarchia imposta
all’Italia dalle sanzioni internazionali dopo la guerra d’Etiopia impose di
fare a meno del legno delle conifere dell’Europa settentrionale per
l’approvvigionamento di cellulosa, la materia prima per il processo di
produzione del rayon. Si pensò allora di utilizzare la canna gentile (Arundo
donax), specie che abbondava nelle zone paludose che allora si stavano
bonificando. Proprio in una di queste aree in via di risanamento nel sud del
Friuli, i cui dintorni erano ricchi di canne, si decise di impiantare un
insediamento industriale per la produzione del rayon. Attorno al vecchio centro
agricolo di Torre di Zuino, in comune di San Giorgio di Nogaro, si costruì nel
biennio 1936-37 un importante stabilimento della SNIA, circondato da case per
gli operai e da una rete di servizi. Si crearono edifici pubblici e abitativi,
stadio, piscina e strutture produttive, collegati da un razionale assetto
viario, che costituiscono uno degli esempi più interessanti di pianificazione
urbanistica del periodo fascista. Nacque così Torviscosa.
Negli anni 1944-45 i bombardamenti alleati
colpirono la fabbrica di Torviscosa nei suoi punti nevralgici. Appena finita la
guerra, si ripararono gli ingenti danni e riprese la produzione di rayon.
L’approvvigionamento di materia prima era difficoltoso, e perciò si continuò a
ricorrere all’autarchica canna gentile. Per promuovere la propria attività, nel
1949 la SNIA decise, come usava prima dell’avvento della televisione, di
commissionare un cortometraggio da proiettare nella sale cinematografiche.
L’incarico fu assegnato a Michelangelo
Antonioni. Le riprese furono effettuate negli stabilimenti di Torviscosa e di
Varedo, riprendendo direttamente i lavoratori e le macchine in azione.
Il film
Accompagnato dalla voce narrante, che
legge un testo semplice e chiaro (con il bell’incipit “Questa è la favola del
rayon”), il documentario illustra tutte le fasi di produzione del rayon a
partire dalla canna gentile. Si parte dallo sminuzzamento e bollitura della
canna che, una volta ripulita delle scorie, diventa pasta di cellulosa. Questa
entra nelle torri di clorazione e di alcalinizzazione, dove viene sbiancata e
purificata e trasformata in fogli. I fogli vengono pressati, aggiungendo soda
caustica diluita, e disintegrati. I frammenti di cellulosa, diluiti nel
disolfuro di carbonio, si trasformano in xantato di cellulosa, che fuso con la
salamoia, da vita alla viscosa. Segue la fase di estrusione attraverso piccoli
ugelli, in cui la viscosa, grazie all’azione di un acido, diventa un filo
lucido e solido che viene arrotolato in gomitoli. Dopo una nuova lavatura e
sbiancatura, si riavvolge in un gomitolo definitivo chiamato "rocca
conica", costituito da cento chilometri di filo. Dalle umili canne di
paludi malsane e fangose si ottiene così un tessuto economico simile alla seta.
Con sette canne si può ottenere un vestito. E, se il sarto è bravo, si possono
realizzare abiti d’alta moda da presentare nelle maggiori sfilate del
mondo.
Ritrovato nel 1995 nell’archivio storico
della fabbrica, restaurato dalla Cineteca del Friuli, il documentario è una
testimonianza importante per la storia della chimica industriale del nostro
paese e per i rapporti che essa seppe intrattenere con il mondo dell’arte e
della cultura in generale.
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